top of page

EDITORIALI di Mdl

Semplicemente quando mi va scrivo delle mie riflessioni su mercati, politica, societá ed affini.

Il piumone, l'aria condizionata e la Propaganda di Guerra

fantozzi.png

Sabato sera resto a casa, non ho voglia di gozzovigliare. Sono troppo stanco. Fuori c’è l’estate, dentro c’è il piumone. Un’abitudine assurda che mi porto dietro da anni: il piacere perverso di farmi congelare l’aria in faccia mentre mi infilo sotto strati caldi, come se potessi barattare un equilibrio emotivo con uno termico. A volte mi ammalo per questo, ma continuo a farlo. Come tante cose che ci fanno male ma ci sembrano casa. La TV ĆØ accesa. In sottofondo Inter–Urawa, Mondiale per Club FIFA, ma potrei anche spegnerla: ĆØ solo un rumore bianco. Lo schermo che conta ĆØ quello del cellulare. Instagram, TikTok, le storie, gli algoritmi. Un carosello infinito che non si ferma mai. Ma stasera… stasera mi ĆØ sembrato tutto ancora più amaro del solito. Scorrono corpi in divisa. Donne, giovanissime, sessualizzate fino all’osso, che fanno balletti al fronte come se la guerra fosse uno spettacolo da vendere. Armi come accessori. Sorrisi come strategia. L’estetica della violenza edulcorata per diventare virale. La guerra che seduce. Viviamo immersi in una cultura di guerra che non si vergogna più di nulla. Una propaganda che sa travestirsi, che si fa giovane, cool, ironica, sexy. Che trasforma il fronte in un set, il sangue in una narrazione eroica e i soldati in influencer. L’orrore diventa contenuto da condividere, da esibire, da esaltare. Si applaudono i droni come se fossero fuochi d’artificio. Si fanno serate sui tetti, si brinda mentre cadono missili. C’è chi si filma e ride, mentre da qualche parte qualcuno muore. E poi immagini di coloni israeliani che sbattono le porte degli shelter in faccia a chi non ĆØ ebreo, mentre piovono missili. Come se l’umanitĆ  si potesse selezionare per diritto di nascita, come se la paura non fosse universale. Disumano. Eppure reale. Non voglio vedere gente sui terrazzi che fa festa sotto il cielo squarciato. Non voglio vedere i like sotto le bombe. La guerra ĆØ merda. Sempre. A meno che non sia la guerra del popolo per il popolo. Quella che nasce dalla fame, dalla dignitĆ  calpestata, dalla rabbia dei disarmati che si ribellano al dominio. Tutte le altre, tutte, sono solo strumenti per l’autoconservazione del potere. Sono spettacoli cruenti che servono ai governi per legittimarsi, per rafforzarsi, per distrarci mentre ci rubano tutto. Anche la sensibilitĆ . Mi sento come Fantozzi davanti al televisore durante le elezioni. Con lo stesso sguardo stanco, indignato, sconfitto. Ma anche un po’ drogato. Drogato dall’assurditĆ  che si ripete, dalla propaganda che ti frulla il cervello finchĆ© non sai più se stai ridendo o piangendo. Un torpore che ti prende, che ti rallenta, che ti fa accettare anche l’inaccettabile, pur di non doverci pensare davvero. Solo che oggi il comizio non ĆØ in TV, ĆØ dappertutto: nei reel, nelle dirette, nei commenti pieni di odio. Una cultura militarista che si ĆØ fatta meme. Che si ĆØ fatta virale. Che ci anestetizza un giorno dopo l’altro. Prendo fiato, mi tolgo il piumone. Mando un vocale al gruppo dei miei amici, ci chiamiamo i Dragoni, e vado in cucina. Mi accendo una sigaretta. Non fumo più in camera da letto da anni, ĆØ un vizio che mi sono tolto dopo l’adolescenza. All’epoca ne fumavo troppe, troppe canne e troppe sigarette chiuso in cameretta. Mi svegliavo con la gola in fiamme. Non ne potevo più del fumo che restava lƬ, impregnato nei vestiti, nel cuscino, in testa. Ora non fumo più le cannette. Mi vengono le paranoie. Troppe. Ripenso all’unica cosa bella che oggi ho visto su Instagram. Un lampo d’amore in mezzo a un feed pieno di odio, propaganda e cinismo. I tifosi del Boca hanno invaso Miami. Colori, tamburi, cori, abbracci. Gente che non si conosce ma si riconosce. Amore vero. Di quello che non ha bisogno di spiegazioni nĆ© di mediazioni. L’amore per il Boca ĆØ quasi mistico, una religione laica che nasce nei quartieri popolari e si tramanda nei gesti, nei tatuaggi, nelle lacrime. Non ĆØ solo tifo. ƈ identitĆ . ƈ sopravvivenza. ƈ riscatto. Chi ama il Boca non tifa una squadra. Difende un modo di stare al mondo. E lo fa con amore, non con missili. ƈ stata l’unica cosa che ho guardato con il cuore aperto. PerchĆ© in mezzo alla pornografia della guerra, all’oscenitĆ  del potere, a questo mondo che sembra drogato di violenza e propaganda, abbiamo il dovere, più che mai, di ricordarci che siamo umani. E di restarlo. Penso a Vittorio Arrigoni. Alla Freedom Flotilla. A quando provò a forzare il blocco navale per portare aiuti umanitari a Gaza. Penso a quando fu rapito e ucciso proprio lƬ, nella terra per cui aveva deciso di rischiare tutto. Il suo ultimo appello oggi suona più urgente che mai. ā€œRestiamo umaniā€, diceva Vittorio Arrigoni. Lo diceva come un’ancora, come un comando morale. Oggi lo ripeto anch’io, mentre do un’altra boccata alla mia Marlboro, il filtro tra le dita, mentre fuori la notte ĆØ nera e i social sempre più tossici. ƈ domenica. Mi sveglio più tardi del solito. Ancora intontito, allungo il braccio e accendo la TV. Notizie di attacchi aerei. Gli Stati Uniti hanno appena bombardato tre siti nucleari in Iran. L’ordine ĆØ partito direttamente dal comando operativo, dove Trump, di nuovo in scena, di nuovo al centro, indossa il suo cappellino rosso MAGA come fosse un’armatura da cartone animato. Sembra una parodia, ma ĆØ tutto reale. E io sono di nuovo sveglio nel mondo sbagliato.

Chi scrive i sogni, governa il mondo. E la Cina ha iniziato a farlo

ME PARE DE CAMDEN TOWN.png

Sono appena rientrato da Hong Kong. Il treno scivola rapido verso Shenzhen, e nel frattempo mi scorrono nella mente immagini nitide della Cina che ho vissuto. Non solo Shenzhen, anche se qui si respira un’energia particolare; la chiamano la Silicon Valley cinese, e non a caso. Ho camminato tra i viali ordinati e i grattacieli ultramoderni di Pechino. Ho vissuto il fermento commerciale di Shanghai, la compostezza antica di Xi’an, ho respirato aria caraibica sull’isola tropicale di Hainan. E ovunque, sempre, una sensazione mi ha seguito: la Cina si sta preparando a prendere il comando. Ma lo fa a modo suo. Non voglio parlare di dollari che crollano, di portaerei nel Pacifico o di chi ha più gas da esportare. Il potere, quello vero, non ĆØ solo una questione di carri armati, valute o geopolitica da salotto TV. Per decenni ci hanno detto che comandare significava avere bombe, banche e bandiere. Oppure, nella versione più elegante, esportare idee e modelli da vendere in PowerPoint nei summit internazionali. Gli Stati Uniti questo lo hanno capito da tempo: hanno costruito il loro dominio globale non solo con le basi militari, ma con la cultura pop, le universitĆ , i brand. L’America ha inventato il soft power come lo conosciamo: Hollywood, i jeans, Coca-Cola, il mito dell’universitĆ  americana, i sogni confezionati su Netflix. Un potere che seduce, non impone. Che ti fa desiderare di essere come loro. Chi ha vinto la Guerra Fredda? Chi ha fatto innamorare il mondo. Il soft power americano ĆØ fluido, fintamente decentralizzato, affascinante. Parte da Hollywood, passa per Cupertino e arriva a Stanford. ƈ Apple, Harvard, Marvel, NBA, BeyoncĆ©. ƈ l’idea che chiunque, anche tu, possa farcela. ƈ una promessa. PerchĆ© non si conquista il mondo soltanto con la forza. Si conquista il mondo facendo in modo che gli altri ti scelgano. Il vero dominio passa attraverso l’attrazione, non la costrizione. E qui sta la differenza: il dominio che dura ĆØ quello che riscrive i sogni degli altri. Ma oggi, la Cina ha iniziato a riscrivere le regole del gioco. Il soft power cinese non seduce, serve. Non ti dice "vieni da noi", ma "collabora con noi". Non ti manda film, ma costruisce strade, porti, ferrovie, server farm, stazioni 5G. La sua Belt and Road Initiative, la Nuova Via della Seta, ĆØ un gigantesco piano infrastrutturale e strategico che collega oltre 150 paesi. E nel frattempo esporta cultura, lingua, tecnologia, educazione, stile di governance. Non ĆØ storytelling, ĆØ logistica. Non ĆØ Hollywood, ĆØ Hangzhou. Eppure ĆØ soft power. Solo che non te ne accorgi subito. Diversi Istituti Confucio, diffusi in tutta la Cina e all'estero, offrono corsi di lingua e cultura cinese frequentati da studenti provenienti da Africa, Asia Centrale e altri paesi emergenti. All’interno delle universitĆ , programmi di borse di studio finanziati dal governo cinese mirano a formare le future Ć©lite globali, rafforzando cosƬ legami accademici e diplomatici con un numero crescente di nazioni partner.In molte capitali emergenti, il modello cinese non solo ĆØ rispettato, ma studiato. Non perchĆ© sia giusto o democratico, ma perchĆ© funziona alla risoluzione di fatti concreti. In Occidente il soft power ĆØ spesso percepito come libertĆ  di scelta. Qui, ĆØ offerta di soluzioni. Naturalmente, la Cina sa anche essere pop. TikTok ne ĆØ la prova più eclatante. ƈ il primo prodotto culturale globale made in China che riesce davvero a dominare l’immaginario giovanile mondiale, senza nemmeno dire "Cina". Con 1,6 miliardi di utenti attivi al mese, TikTok non ĆØ solo un social network: ĆØ una piattaforma culturale, estetica, comportamentale. ƈ più influente di qualsiasi ambasciata. E sƬ, ĆØ figlio della Cina. Non nella propaganda, ma nell’architettura: l’algoritmo come veicolo di influenza, l’intrattenimento come strumento di conversione. La sua versione cinese, Douyin, ĆØ ancora più controllata, persino educativa. Ma la versione globale ĆØ un’arma gentile, che cambia il modo in cui una generazione intera pensa, comunica e sogna. E non c’è solo TikTok. Piattaforme come Alibaba, WeChat, DJI, e sempre più brand cinesi dell’high-tech e della moda stanno facendo il salto. Non sono ancora i nuovi Levi’s o Nike, ma sono giĆ  nei radar. Soprattutto, stanno crescendo in quei mercati dove l’America ĆØ in ritirata: Africa, Medio Oriente, Asia Sudorientale. Mentre sorseggiavo una pinta di Stella guardando la Premier League in uno dei pub di Wan Chai, mi sono messo a parlare con un ingegnere cinese. Parlava con un accento cosƬ british che Tony Effe avrebbe detto: ā€œpare cresciuto a Camden Townā€. Mi raccontava dei progetti in Medio Oriente, di come le imprese cinesi stanno automatizzando porti e dogane in paesi dove prima c’erano solo i contractor americani. Ad un certo punto, tra una risata ed un sorso di birra, mi ha detto una frase che mi ĆØ rimasta impressa: "Gli americani ti spiegano come vivere. I cinesi costruiscono le strade, e adesso anche i cavi sotto quelle strade." Ed ĆØ esattamente cosƬ. Gli USA esportano (dis)valori, la Cina infrastrutture. Gli USA ti vogliono "libero" di stare con loro. La Cina ti vuole connesso. E tra i due, il mondo inizia a chiedersi cosa sia più urgente. Tra Hong Kong e Shenzhen c’è una linea immaginaria, come tra sogno e realtĆ . A Hong Kong puoi ancora respirare la complessitĆ  di un mondo ibrido, globalizzato, critico. A Shenzhen invece si respira velocitĆ  e potere, non quello che si impone, ma quello che ti ingloba. E mentre cammino tra i grattacieli di Nanshan, vedo corrieri robot che sfrecciano nei campus universitari, file di giovani programmatori uscire da incubatori open-space a Nanshan. Nei coworking ci si scambia contatti su WeChat tra un caffĆØ di soia e un pitch per una startup di AI. Forse il dominio globale di domani non parlerĆ  più solo inglese. Forse sarĆ  bilingue, multipolare, silenzioso. E sarĆ  costruito da chi non ha bisogno di convincerti. Solo di esserci, sempre di più. Ma la vera domanda ĆØ: chi riuscirĆ  a dominare anche il soft power? Chi saprĆ  non solo costruire infrastrutture e influenzare mercati, ma plasmare sogni, attrarre desideri, riscrivere aspirazioni? PerchĆ© nel mondo che viene, non basterĆ  avere armi o economia. Chi vincerĆ  davvero, sarĆ  chi riuscirĆ  a farsi scegliere. Eppure, qui si apre un altro pensiero. Forse ancora più scomodo. PerchĆ© in fondo ĆØ sempre di dominio che si parla. Che venga da una "democrazia" di mercato o da un'autocrazia, resta pur sempre un progetto di controllo, un’architettura del consenso. L’America ti offre la "libertĆ " come brand globale. La Cina ti promette stabilitĆ  come servizio. Ma in entrambi i casi, tu non scegli: sei scelto, selezionato, orientato. Sotto l’apparenza gentile del soft power si nasconde un’intenzione dura: produrre realtĆ  altrui dentro le nostre vite. Con modelli, algoritmi, standard, mappe mentali. E allora torna alla mente una lettura di gioventù, quel libro che girava tra chi non voleva accontentarsi nĆ© del potere rosso nĆ© di quello blu: Cambiare il mondo senza prendere il potere di John Holloway. "Il potere vero non ĆØ qualcosa che si conquista. ƈ qualcosa che si rompe. ƈ qualcosa che si smette di riprodurre." Forse, invece di chiederci chi dominerĆ  il soft power, dovremmo chiederci se il potere, anche quello più seduttivo, vada davvero desiderato. Forse il prossimo passo non sarĆ  scegliere tra Washington o Pechino, ma imparare a non farsi più colonizzare i desideri. Torniamo ad immaginare un mondo che non chiede di essere dominato, ma semplicemente vissuto.

Il Primo Monumento a Satoshi Nakamoto in Italia – Intervista a Mattia Pannoni

Bitcoin come il Punk?

ChatGPT Image Apr 13, 2025, 11_34_42 AM.png

Ho la febbre a 39. Dovrei starmene a letto, ma proprio non ci riesco. Quando la mente corre, anche il corpo stanco non si arrende. E oggi corre verso una domanda che da parecchio tempo continuo a ripetermi : che fine ha fatto lo spirito originale di Bitcoin? Ricordo benissimo il momento in cui ho scoperto il whitepaper. C’era qualcosa di profondamente affascinante, quasi poetico, in quell’idea di denaro libero, senza permessi, senza governi, senza banche centrali. Un sistema creato non per migliorare il mondo che giĆ  c’era, ma per immaginarne uno totalmente nuovo. E quel messaggio inciso nel primo blocco, sembrava una dichiarazione d’intenti: ā€œThe Times 03/Jan/2009 Chancellor on brink of second bailout for banks.ā€ Bitcoin nasceva cosƬ, come risposta a una crisi, come alternativa a un mondo che aveva perso fiducia. Per molti di noi era qualcosa di più di un esperimento tecnologico: era una presa di posizione, una forma di indipendenza, un modo per sottrarsi alle logiche del potere finanziario. Come siamo arrivati fin qui? Una breve cronistoria 2009–2016 Bitcoin era ancora un oggetto misterioso. Una tecnologia di nicchia, usata da pochi e capita da ancora meno. Completamente scollegata dai mercati tradizionali. 2017–2019 Con il primo boom di prezzo, arrivano i media e i primi investitori curiosi. Ma l’anima ribelle regge: il legame con Wall Street ĆØ ancora debole. 2020–2021 L’adozione istituzionale cambia tutto. Aziende come Tesla e fondi come Grayscale iniziano ad accumulare Bitcoin. E da lƬ, lentamente, comincia ad allinearsi ai movimenti del Nasdaq e dei mercati azionari. 2022–2024 Bitcoin viene trattato sempre più come un asset tecnologico. I suoi movimenti rispecchiano le decisioni della Fed e l’umore degli investitori globali. 2025 Secondo K33 Research, la correlazione tra Bitcoin e Nasdaq ha raggiunto 0,64 — il livello più alto degli ultimi 18 mesi. Un numero che racconta molto più di quanto sembri: Bitcoin oggi si muove insieme al sistema che voleva sfidare. Quando anche la politica (di palazzo) entra in gioco... Trump, oggi di nuovo sulla scena, ha annunciato la creazione di una riserva strategica di Bitcoin da parte del Tesoro USA. Un gesto che ha fatto notizia, certo. Ma anche riflettere. PerchĆ© se Bitcoin era nato come moneta fuori dal controllo statale, ora ĆØ lo Stato stesso a detenerlo, a normarlo, persino ad investirci. Trump ha anche preso una posizione netta contro l’adozione di una CBDC americana, sostenendo la necessitĆ  di tutelare la libertĆ  economica. Eppure, nel farlo, ha finito per incorporare Bitcoin nelle logiche di potere tradizionali, togliendogli un po’ di quell’aura di rottura che aveva all’inizio. Mi viene in mente il punk. Anche lui era nato come rottura totale: suoni grezzi, rabbia pura, controcultura fatta a chitarre scordate e fanzine fotocopiate. Poi arrivarono le etichette discografiche, MTV, i tour sponsorizzati. Il punk non ĆØ morto, ma ha cambiato pelle. ƈ diventato un’estetica, un genere. Il suo spirito di rottura si ĆØ fatto spazio anche dentro il sistema che voleva combattere. Bitcoin sta facendo lo stesso viaggio. Ha perso un po’ del suo caos iniziale, ma ha guadagnato spazio, legittimitĆ , persino potere. E come per il punk, la fiamma non si spegne. Resiste nei margini, nei luoghi dove serve davvero, nei wallet di chi non ha alternative. La veritĆ  forse ĆØ questa: non ĆØ lui che ha tradito le sue origini, siamo noi che abbiamo dimenticato perchĆ© ce ne siamo innamorati. E magari, tra una stretta monetaria e un ETF, il cuore di Bitcoin batte ancora. Più silenzioso, più sommerso ma non spento. Mdl Shenzen, Cina quasi ora di pranzo Domenica 13 Aprile 2025

Il Bananone gioca con i mercati e Jerome  Powell?

Le recenti mosse protezionistiche del presidente Donald Trump hanno scosso profondamente i mercati finanziari globali, portando a un crollo significativo delle borse. L'annuncio di dazi del 10% su tutte le importazioni e fino al 60% sui beni cinesi ha innescato una reazione a catena, culminata in una massiccia svendita di azioni e in una crescente paura di una recessione globale.​ La reazione dei mercati non si ĆØ fatta attendere. Wall Street ha registrato perdite per oltre 5.000 miliardi di dollari, con il Dow Jones in calo del 2,66%, l'S&P 500 del 3,01% e il Nasdaq del 3,32%. Queste flessioni seguono una giornata precedente giĆ  negativa, segnando uno dei peggiori cali dal 2020 . Anche le borse europee hanno subito pesanti perdite: il pan-European STOXX 600 ĆØ sceso del 3,1%, entrando in una fase di correzione con un calo superiore al 10% rispetto ai massimi di marzo.​ In Italia, Piazza Affari ha subito un tracollo significativo. L'indice FTSE MIB ha chiuso in ribasso del 6,5%, cancellando 47 miliardi di euro di capitalizzazione di mercato, in quello che ĆØ stato uno dei peggiori crolli nella storia della borsa italiana. Il settore bancario ĆØ stato particolarmente colpito, con titoli come BPER Banca, UniCredit e Intesa Sanpaolo che hanno registrato ribassi significativi. ​ Il settore bancario ĆØ stato particolarmente colpito. Le azioni delle principali banche europee sono scese dell'8%, trascinando al ribasso l'intero indice STOXX Europe 600. Negli Stati Uniti, istituti come JPMorgan Chase, Goldman Sachs e Morgan Stanley hanno registrato cali significativi, mentre in Giappone le megabanche hanno subito le peggiori perdite settimanali dal 2008 .​ La Cina ha risposto imponendo dazi del 34% su tutti i beni statunitensi, intensificando le tensioni commerciali e alimentando le preoccupazioni per una possibile recessione globale. JPMorgan Chase ha aumentato le probabilitĆ  di una recessione mondiale dal 40% al 60% . L'incertezza sulle future politiche commerciali ha ulteriormente destabilizzato gli investitori, contribuendo alla volatilitĆ  dei mercati.​ In questo contesto turbolento, il presidente Trump ha pubblicamente criticato il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, esortandolo a tagliare immediatamente i tassi di interesse. Trump attribuisce alla Fed la responsabilitĆ  delle attuali difficoltĆ  economiche, mentre Powell avverte che i dazi potrebbero portare a un aumento dell'inflazione e della disoccupazione, sottolineando la necessitĆ  di una politica monetaria prudente.​ Dietro il caos di questi giorni si fa largo una teoria tanto inquietante quanto strategica: Donald Trump potrebbe aver volutamente scatenato la tempesta finanziaria attraverso l'imposizione dei dazi per costringere Jerome Powell – presidente della Federal Reserve – a tagliare i tassi di interesse prima delle elezioni. L'inflazione indotta dai dazi, unita al panico dei mercati, aumenta il rischio di recessione. Secondo alcuni osservatori, questo contesto potrebbe creare la giustificazione ideale per una mossa accomodante da parte della Fed. Trump, che da anni accusa Powell di essere un ostacolo alla sua agenda economica, ha giĆ  iniziato a twittare accuse dirette, chiedendo ā€œun’azione immediata per tagliare i tassi e proteggere l’economia americanaā€. Il Wall Street Journal, in un'analisi pubblicata il 3 aprile, ha evidenziato come l’incertezza generata ad arte sulle future relazioni commerciali possa essere parte di una strategia deliberata per spingere Powell a intervenire con un taglio dei tassi. Anche JPMorgan Chase ha fatto notare l’insolita tempistica delle dichiarazioni e delle misure annunciate, sottolineando come l’attuale caos sui mercati sia ā€œin parte autoindottoā€ e alimentato da segnali contraddittori provenienti dalla Casa Bianca. Quella che stiamo vivendo non ĆØ solo una crisi di mercato: ĆØ la dimostrazione brutale di cosa accade quando il potere politico viene messo nelle mani di chi tratta l’economia globale come un casinò personale. Donald Trump ĆØ un manipolatore seriale del sistema, un uomo che ha dimostrato più volte di essere disposto a seminare il caos pur di ottenere un vantaggio politico temporaneo, anche se in questo caso le sue operazioni possono rivelarsi un boomerang. Trump incarna quel neoliberismo autoritario che distrugge, divide e poi si presenta come salvifico. Serve una risposta chiara, radicale, collettiva: riprendere il controllo dei processi economici, porre fine alla dittatura dei mercati e spezzare l’alleanza perversa tra potere politico e finanza speculativa. Mdl 4 aprile 2025 tarda sera Buenos Aires

bottom of page